“Privacy Washing”
Quando la compliance aziendale è un’illusione lusinghiera
L’era digitale, in cui ci troviamo immersi, ha portato con sé una crescente consapevolezza della necessità di proteggere la privacy online, ma contemporaneamente ha visto l’emergere di una pratica ingannevole, purtroppo sempre più diffusa, nota come “Privacy Washing”.
Ispirata letteralmente al più famoso fenomeno del Green Washing ambientale, si riscontra quando le aziende annunciano e sottolineano in più contesti, di dare la priorità alla protezione dei dati personali ma in realtà è solo una strategia comunicativa non sostenuta da concreti adeguamenti procedurali in ambito privacy.
Alcune aziende si preoccupano solamente di mostrare “una vetrina” perfettamente in ordine: dichiarano che i loro prodotti e/o servizi sono ideati e utilizzati dando la priorità alla tutela dei dati dei clienti, ma in realtà non effettuano alcuna implementazione o adottano alcuna procedura per assicurare la compliance aziendale.
Viene creata una falsa percezione di attenzione alla privacy, ma nella quotidianità non sono adottate misure significative per proteggere realmente i dati degli utenti, e vengono attuate astute tattiche di marketing e comunicazioni costantemente ambigue.
Implicazioni del Privacy Washing
Mancanza di coerenza e opacità, dichiarazioni false e lusinghiere: le implicazioni connesse al Privacy Washing, le ritroviamo principalmente in quattro contesti. In primo luogo, nell’ambiguità nelle politiche sulla privacy: le organizzazioni redigono le Privacy Policy o i termini e condizioni contrattuali, in modo vago o ambiguo, dando adito ad interpretazioni differenti o che non riflettono realmente le pratiche effettive di gestione dei dati. Nell’utilizzo di pratiche obsolete o inadeguate: invece di adottare le migliori pratiche di sicurezza dei dati e di gestione della privacy, le organizzazioni si affidano a protocolli o tecnologie inattuali, o impiegano misure di sicurezza insufficienti per proteggere adeguatamente i dati personali. Un altro contesto molto frequente è l’abuso di termini fuorvianti: talvolta le organizzazioni possono utilizzare termini fuorvianti o eufemismi per descrivere le loro pratiche relative alla privacy, creando così una percezione di maggiore protezione dei dati rispetto a quanto effettivamente fornito. In ultima istanza, nella mancanza di trasparenza: il Privacy Washing può anche coinvolgere un’assenza di trasparenza riguardo al modo in cui i dati vengono raccolti, utilizzati e condivisi, rendendo difficile per gli utenti comprendere appieno l’impatto delle politiche e procedure privacy dell’organizzazione.
Da un punto di vista legale, il Privacy Washing costituisce una violazione delle normative privacy vigenti, prima fra tutte il GDPR il Regolamento generale sulla protezione dei dati, ma quello che poche organizzazioni considerano, è che oltre ad avere implicazioni legali e sanzionatorie, può arrivare a inficiare la fiducia dei clienti e danneggiare irrimediabilmente la reputazione aziendale.
Come proteggersi dal Privacy Washing?
Tra le misure migliori che gli utenti possono adottare per proteggersi dal Privacy Washing una certamente consiste nell’esaminare criticamente le dichiarazioni sulla privacy delle aziende, verificando la conformità alle normative sulla privacy e supportando le realtà aziendali che dimostrano un autentico impegno nella protezione dei dati degli utenti.
Nell’attuale scenario digitale, l’attenzione alla privacy è diventata una priorità sempre più pressante per i consumatori ed è fondamentale informarsi per comprendere quanto sia diffuso e radicato questo fenomeno, perché non sempre i consumatori hanno gli strumenti per decodificarlo.
Molte figure autorevoli, da Alessandro Acquisti a Daniel Solove, Shoshana Zuboff, Julia Angowin e Bruce Shneier (solo per citarne alcuni), hanno analizzato approfonditamente il Privacy Washing, evidenziando le sue implicazioni e sottolineando l’importanza di politiche più rigorose sulla privacy. Acquisti, professore di informatica e politica pubblica alla Carnegie Mellon University, ha condotto ricerche pionieristiche sul tema della privacy online, mettendo in luce le tattiche utilizzate dalle aziende nel mascherare le proprie pratiche poco trasparenti. Mantre Daniel Solove, professore di legge presso la George Washington University, ha scritto ampiamente sull’argomento della privacy e della sicurezza delle informazioni, criticando le pratiche delle aziende che sfruttano le preoccupazioni sulla privacy a fini di marketing. Shoshana Zuboff, professore emerito presso la Harvard Business School, è famosa per il suo lavoro sul “capitalismo sorvegliato”, che mette in evidenza come le grandi aziende tecnologiche sfruttino i dati personali degli utenti a fini di lucro, spesso dietro politiche vaghe sulla privacy. Julia Angwin, giornalista investigativa e autrice di “Dragnet Nation”, ha esaminato, invece, il fondamentale tema della sorveglianza online e ha sottolineato il ruolo cruciale delle aziende nel rafforzare le politiche sulla privacy e nel fornire agli utenti maggiori controlli sui propri dati. Infine Bruce Schneier, esperto di sicurezza informatica e privacy, ha contribuito a evidenziare le sfide legate alla protezione dei dati personali, criticando le pratiche di privacy washing come un inganno per i consumatori.
Realtà attuale e prospettive per il futuro
Siamo tutti consapevoli che gli imprenditori sono “vessati” da tremila adempimenti, certificazioni, burocrazie e spesso la compliance aziendale alla normativa privacy, viene vista come una “scartoffia” che comporterà un’inutile perdita di tempo, ma per migliorare le privacy practies ed evitare il potenziale e duro contraccolpo sanzionatorio e reputazionale, le aziende devono far si che la privacy diventi un aspetto quotidiano della funzione lavorativa di ogni dipendente.
La leadership di ogni organizzazione, sia essa pubblica o privata, deve supportare le iniziative e i consigli del consulente privacy e fare in modo che tutti i processi siano sempre orientati ad un’ampia inclusione della normativa privacy, a testimonianza non solo della compliance aziendale, ma anche della trasparenza e della responsabilità nei confronti dei consumatori e dei clienti.
L’anno 2023 è stato caratterizzato da una diffusa pratica di Privacy Washing da parte delle grandi aziende tecnologiche. Tuttavia, la costante attenzione pubblica sta iniziando a mettere in discussione queste dinamiche, aprendo la strada a nuove tendenze, nell’intento di impedire che l’ennesima promozione della nuova “funzionalità di privacy” sia in realtà il mascheramento di un nuovo scopo di sfruttamento dei dati personali.
Anche nel 2024, ci si aspetta un aumento del Privacy Washing da parte di Big Tech e si prevedono nuove forme di acquisizione irregolari dei dati personali.
Gli utenti possono percorrere un’unica strada: informarsi al fine di avere quadro esaustivo delle sfide legate alla protezione della privacy nell’era digitale, essere consapevoli e critici verso le pratiche delle aziende e sostenere solo le aziende che concretamente adottano soluzioni che offrono una vera tuta del corretto trattamento dei dati personali, senza imbellettare l’immagine dell’ente o della azienda, perseguendo un tornaconto senza reali investimenti per minimizzare l’impatto nella protezione dei dati personali.
Insomma, ormai il tema è diventato impellente e la presa di coscienza è necessaria. È quindi fondamentale garantire la fiducia dei propri consumatori, attraverso una più ampia inclusione nella conversazione sulla privacy, fornire trasparenza e responsabilità, nonché diverse prospettive su cosa sia la privacy per l’azienda e perché sia importante.
Le aziende devono effettivamente vedere la privacy dal punto di vista del consumatore e capire che quello che faranno per proteggere i nostri dati fa parte del modo in cui li giudicheremo.
Ogni azienda, indipendentemente dal settore in cui opera, ha la responsabilità di proteggere la privacy dei propri clienti. È giunto il momento di agire con determinazione e trasparenza per garantire la sicurezza dei dati personali, riconoscendo che la privacy non è solo una questione di conformità normativa, ma soprattutto di fiducia e reputazione. È fondamentale che tutte le aziende mettano al centro dei propri valori la tutela della privacy e l’adottare politiche e pratiche che rispecchino questo impegno. Solo attraverso un impegno concreto e continuo per la privacy possiamo costruire relazioni solide e durature con i nostri clienti e dimostrare che siamo pronti ad affrontare le sfide del mondo digitale in modo responsabile ed etico.